La storia di Cristina Mariani, che accudisce la madre colpita 59 anni da aneurisma celebrale, ci offre la possibilità di riflettere sul ruolo dei caregiver e sulle numerose difficoltà che devono affrontare quotidianamente, non solo a livello pratico (l’assistenza alla persona non autosufficente) ma anche a livello burocratico (ricerca di sussidi e servizi). (entra nella community di Invalidità e Diritti e scopri le ultime notizie sull’invalidità civile. Unisciti al gruppo Telegram, alla chat tematica e a WhatsApp per ricevere tutte le news direttamente sul cellulare. Entra nel gruppo Facebook per parlare con migliaia di persone che hanno i tuoi stessi interessi. Abbiamo anche una pagina Instagram dove pubblichiamo le notizie in formato grafico e un canale YouTube, dove pubblichiamo videoguide e interviste).
Cristina l’ho conosciuta su Facebook. Mi ha colpito subito il suo modo di raccontarsi e di raccontare della madre, che spesso prevede l’ironia e l’autoironia.
Rivelare la propria quotidianità, quando si vivono situazioni simili, rischia di generare pietismo. Nel suo caso, la difficoltà del ruolo del caregiver e la malattia della mamma, vengono raccontate in modo da rubare un sorriso, rivelando allo stesso tempo cosa c’è dietro: la stanchezza, la malattia, la solitudine.
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L’aneurisma cerebrale è una dilatazione di un’arteria cerebrale. A causa di questa dilatazione, dovuta a un’anomala perdita o all’assenza della tonaca muscolare (uno dei 3 strati dell’arteria), la parete dell’arteria risulta più fragile e debole e, pertanto, vi è il rischio di rottura dell’aneurisma. Il rischio più grande è associato alla rottura, che ha purtroppo esito fatale nella maggior parte dei casi e, nei restanti, è accompagnata dal rischio di sviluppare complicazioni permanenti molto gravi.
Storia di una caregiver: “Mi merito di più di questo vuoto attorno che abbiamo”
Cristina si prende cura della sua mamma da 7 anni. Ha 48 anni e la mamma ne ha 65. Entrambe sono giovani. Entrambe meriterebbero di più di quello che si sta creando attorno a loro: il vuoto.
Dopo aver ottenuto diversi servizi, erogati a favore delle persone non autosufficienti, Cristina e la madre di sono scontrati contro una cinica burocrazia.
Di fatto, l’assistenza dovuta viene negata poiché la mamma di Cristina, oggi usufruisce della tutela in favore degli anziani e non più dei quella dovuta alle persone disabili.
Tutto questo ha comportato un maggior carico di lavoro, per Cristina, che non si può più permettere di cercare un lavoro o di avere una seppur minima vita sociale.
Ha provato anche a crearsele da sole, le occasioni per poter permettere alla mamma di essere accudita e seguita anche professionalmente, ma senza successo. Il sistema che c’è dietro ai caregiver e alle persone anziane e disabili, al momento non lo consente.
Mancando tutta una serie di servizi, Cristina continua a scegliere, giorno dopo giorno, di prendersi quasi totalmente cura della mamma, rinunciando di conseguenza a se stessa.
Abbiamo raccontato la storia di Cristina anche sul nostro canale YouTube. Nel video sotto la puoi ascoltare per intero e puoi conoscere i contatti per seguire Cristina sui social:
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Assistere una persona malata non deve pregiudicare il diritto alla felicità
Una vita dignitosa e felice è l’aspirazione di tutti. Lo è anche per chi vive direttamente o indirettamente la malattia, per chi, silenziosamente e senza pretendere nulla in cambio, ogni giorno sembra essere impegnato a sciogliere il filo di una matassa.
“Si perde il lavoro, si perde la testa, ci sente soli”
Cristina ha provato a lavorare in smart working. Era convinta che potesse essere la scelta migliore per lei e per la sua mamma.
Si è resa conto, col tempo, che lavorare da casa, seppur in con orario ridotto, non era la soluzione ideale, perché quando devi assistere una persona con problemi neurologici non puoi prevedere e organizzare tempi e attività.
Riesce poi a ottenere il sussidio “Vita insieme” erogato dal Comune in cui vive, che le permette di pagare una badante e di conseguenza di trovare il tempo per lavorare in ufficio
Tuttavia, la madre continua ad avere bisogno di lei, per cui decide di chiedere il congedo biennale retribuito per starle accanto.
Cristina non si arrende alle circostanze che vorrebbero confinarla nel solo ruolo di caregiver. Ha bisogno di ritagliarsi del tempo per se stessa e di trovare un’attività che le permetta di guadagnare quei soldi che, oggi, non sono più garantiti dai sussidi tolti.
Oggi, anche il costo della logopedista della mamma è insostenibile.
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La forza della rete: caregiver e l’importanza di chiedere aiuto
Cristina ha quindi iniziato a essere presente sui social perché cercava una possibilità di lavoro. Pian piano, quella possibilità si è trasformata anche in missione.
Grazie alla rete, ha scoperto che ci sono tante persone che vivono situazioni anche più pesanti della sua e che hanno bisogno di essere informate e supportate.
Persone che spesso non conoscono i loro diritti e non hanno nemmeno consapevolezza del ruolo che stanno ricoprendo.
E così, tra un’informazione e una spalla su cui piangere, Cristina ha creato una rete di persone che si supportano e che si scambiano informazioni, per avere consapevolezza del loro ruolo e dei loro diritti.
Purtroppo, come emergo da tanti confronti, gran parte dei caregiver non chiede aiuto.
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“Perché si deve scegliere tra se stessi e la persona che si ama?”
Non chiedere aiuto e supporto, da parte del caregiver, è vissuto quasi come un dovere. “Io sono la figlia, il figlio, il coniuge… è giusto che mi prenda cura del mio caro che sta male o che non è autosufficiente, fino a immolarmi”.
La richiesta di aiuto è quasi un’ammissione di incapacità o di non amore, per molti di loro. E invece non dovrebbe essere così.
Un caregiver ha tutto il diritto di “avere una vita dignitosa e felice”, e per poterlo fare deve necessariamente chiedere assistenza, perché assistere un proprio caro, oltre all’impegno fisico, porta con sé anche un elevatissimo carico emotivo, che se non viene scaricato ha delle conseguenze su se stessi e sulla persona che si assiste.
Nel video di seguito raccontiamo la storia di Michela, moglie di Paolo, che ha ricevuto la diagnosi di Alzheimer all’età di 43 anni e rifletteremo sulla forza dell’amore oltre la malattia:
“Vorrei che noi caregiver uscissimo dal limbo. Vorrei che tutti i caregiver trovassero finalmente il coraggio di chiedere aiuto”
Ecco la speranza di Cristina: che tutti i caregiver uscissero dall’isolamento che hanno creato in parte le Istituzioni e in parte loro stessi, per rivendicare i loro diritti, per richiedere gli aiuti a cui hanno diritto e per urlare che non hanno più intenzione di scegliere tra se stessi e la persona che amano, perché entrambi meritano una vita dignitosa.
L’intervista a Cristina fa parte della sezione “Storie“. All’interno della stessa raccolta, trovi anche:
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