Melio: caregiver e categorie protette, cosa deve cambiare

Il consigliere regionale della Toscana, Iacopo Melio, parla di riforma della disabilità, assistenza, lavoro e diritti umani e civili. Ci rivela, poi, anche sogni nel cassetto e spaccati di quotidianità davvero interessanti.
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27/5/23

“Quando c’è una vera indipendenza economica, allora c’è anche tutto il resto: una migliore socializzazione e integrazione, una maggiore possibilità di curarsi, capacità di investire su se stessi da un punto di vista di studi e professionale”. Non ha dubbi Iacopo Melio, su cosa serva per una riforma sui diritti dei disabili davvero efficace. Lo abbiamo ascoltato per la sezione “Storie” di invaliditaediritti.it.

Giornalista e scrittore, politico e attivista per i diritti umani, dal 2020 Consigliere Regionale della Toscana. La sua è una delle storie più luminose del nostro Paese.

Iacopo, che dalla nascita convive con una sindrome di Escobar, malattia genetica rara e senza cura che lo ha costretto sulla sedia a rotelle per spostarsi, si impegna da anni per l’affermazione dei diritti umani e civili.

Lo ha fatto come giornalista e autore di quattro libri, collaborando con testate importanti come La Repubblica e Fanpage, ma anche scendendo in campo in prima persona, prima attraverso la Onlus “Vorrei prendere il treno“, impegnata per l’abbattimento di barriere architettoniche, sociali e culturali, e poi come politico.

Nominato “Cavaliere dell’Ordine al Merito” dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella e già “Cittadino Europeo“, premio conferito dal Parlamento Europeo, Iacopo ha affrontato molti dei temi cari alla nostra community: l’efficacia dei provvedimenti legislativi in materia di disabilità, il funzionamento effettivo delle categorie protette, l’analisi di strumenti come la disability card, il riconoscimento del caregiver, ma ha anche offerto uno spaccato più personale, parlando dei sogni del cassetto non ancora realizzati.

Iacopo Melio (Foto di Marco Ferrario. Fonte: profilo Facebook, Iacopo Melio).
Iacopo Melio (Foto di Marco Ferrario. Fonte: profilo Facebook, Iacopo Melio).

Quando nasci con una disabilità e dentro, come tutti, hai un mondo da comunicare, come fai a portarlo fuori, non lasciandoti fermare da quella disabilità?

“Intanto, dobbiamo premettere che parlare dinon farsi fermare dalla disabilità”, e quindi di “ha fatto cose nonostante la sua disabilità”, rischia di trasmettere un tono pietistico, alimentando l’abilismo, ovvero la discriminazione delle persone con disabilità. Quest’ultima, per quanto difficile da concepire, non deve essere vista come un ostacolo ma come una caratteristica al pari di qualunque altra: solo così riusciremo a vedere le “persone” per ciò che sono e non per le loro difficoltà. Ognuno di noi ha qualcosa da comunicare e da tramettere là fuori, e i modi per farlo sono ormai infiniti”.

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Hai scritto un articolo bellissimo sull’importanza di usare le parole corrette per parlare di disabilità. Rispetto al tema pensi si siano fatti passi avanti o indietro? Quali termini, espressioni o modi di dire rappresentano ancora un gap da colmare?

“Sicuramente, grazie anche ai social e quindi alla condivisione di storie ed esperienze, si sono compiuti dei passi avanti facendo capire che i tempi cambiano e quindi anche la cultura, con il suo linguaggio in continua evoluzione. Si incontrano però ancora un sacco di resistenze, soprattutto da parte dei non addetti ai lavori che pretendono di argomentare su questioni di cui non sanno: dare la priorità ai fatti sminuendo le parole significa non comprendere che la realtà può cambiare (in meglio) soprattutto se cambiamo il modo in cui la definiamo, perché così facendo cambiano anche gli atteggiamenti delle persone, correggendosi.

In questo senso sono ancora tante le parole che continuano ad essere usate in modo improprio: basti pensare al termine “diversamente abile” o al classico “portatore di handicap”, totalmente sbagliati perché sottolineano la diversità oltre che un fantomatico peso (“portatore”) dovuto alla disabilità (“handicap” è ormai considerata una parola offensiva, tanto da essere stata bandita anche dai documenti ufficiali dell’OMS), anziché evidenziare in modo inclusivo la parità delle persone”.

Strumenti come le disability card rappresentano davvero una chiave di integrazione o hanno delle criticità?

“Si tratta di una manovra discriminatoria perché va ad aggiungere un’ulteriore etichetta ghettizzante totalmente superflua: sarebbe sufficiente inserire certi dati nella carta di identità elettronica, mantenendo un solo documento uguale per tutte le cittadine e per tutti i cittadini, integrando senza creare recinti per persone “speciali”. Inoltre, gli sconti previsti dalla disability card si possono tutt’oggi avere esibendo il già presente tagliando disabili o la documentazione 104, perciò è davvero insensato voler complicare le cose”.

(Su invaliditaediritti.it abbiamo pubblicato un articolo di approfondimento, “disability card: per noi non serve a niente“, con. le testimonianze raccolte nella nostra community).

Molte persone con disabilità nella nostra community e non solo continuano a definirsi invisibili. É una definizione corretta o può essere, a volte, un alibi?

“Sicuramente la libertà per una persona con disabilità, oggi, ha un costo proibitivo che ricade quasi interamente sulle spalle di chi la vive o dei loro caregivers, proprio perché manca buona parte dei servizi più basilari (penso, ad esempio, al progetto “Vita Indipendente” che, per quanto fondamentale, non ha ancora le risorse sufficienti per soddisfare tutte le domande in modo adeguato). Trovo però anche ingiusto generalizzare: in alcuni casi le persone tendono a piangersi un po’ addosso quando, invece, potrebbero rimboccarsi le maniche e uscire allo scoperto, costruirsi una propria autonomia, lavorare, e così via, senza il bisogno di grossi supporti. 

Parità è anche capire che non tutto ci è dovuto. Sicuramente in buona parte, ma non sempre. Io, ad esempio, è da quando ho vent’anni che ho scelto di lavorare per conquistarmela la mia visibilità”.

Collocamento mirato e categorie protette, sono spesso oggetto di dibattito nella nostra community. Semplifico il parere più diffuso: non funzionano per niente. Le aziende ignorano gli obblighi di assunzione, li aggirano o preferiscono pagare multe perché vedono la persona disabile come una limitazione. Servono normative differenti, maggiori controlli o è un problema di cultura?

“La legge credo sia buona già così, il problema sono come spesso accade i controlli: le aziende preferiscono rischiare di pagare la sanzione piuttosto che assumere una persona con disabilità ogni tot. dipendenti “normodotati”, come obbligatorio, perché comunque gli costerebbe meno la multa rispetto all’assunzione.

Per quanto riguarda invece gli uffici di collocamento e le categorie protette, continuano a non funzionare come dovrebbero: ricevo periodicamente messaggi di persone con disabilità in attesa da anni di chiamate mai arrivate. Purtroppo, ancora, conta molto di più la botta di fortuna nell’incappare nell’annuncio privato giusto, piuttosto che aspettare che qualcuno chiami direttamente per proporre posti di lavoro. 

Si tratta di un problema culturale: quando capiremo che le persone con disabilità non sono un costo e una spesa ma un investimento esattamente come qualsiasi altra risorsa umana, allora forse le cose cambieranno”.

Cosa dovrebbe prevedere una riforma delle tutele delle persone disabili?

“Citerò un solo punto, per me basilare: i contributi economici. Che si tratti di aumentare le pensioni di invalidità e gli assegni di accompagnamento, che si tratti di maggiori fondi per “Vita Indipendente” e “Dopo di noi”, che riguardi assegni e sussidi per i caregivers. 

Quando c’è una vera indipendenza economica, allora c’è anche tutto il resto: una migliore socializzazione e integrazione, una maggiore possibilità di curarsi, capacità di investire su se stessi da un punto di vista di studi e professionale, e così via”.

Il caregiver in Italia continua a essere un fantasma. Abbiamo testimonianze di persone che sono state licenziate perché avevano esaurito i giorni di permesso per assistere un familiare malato e di altre che hanno combattuto anni per vedersi riconoscere un diritto sacrosanto. Come andrebbe tutelata questa figura secondo te?

“Bisognerebbe mettere i caregivers nelle condizioni di prendere maggiori congedi, di garantire tutele e contributi per le pensioni, o magari anche solo di poter lavorare da casa, nel mentre che assistono la persona con disabilità. Lo smart working, a tal proposito, deve essere riconosciuto come uno strumento universale di inclusione, per chi non può spostarsi per andare a lavoro ma anche per tantissime altre categorie (penso a genitori con figli piccoli, persone che vivono distanti dal luogo di lavoro, studenti-lavoratori e così via). Si ottimizzano i tempi, si riducono i costi e pure l’ambiente ringrazia con un minor inquinamento“.

Fare politica significa manifestare e lottare per i bisogni di chi ha deciso di credere in te. Nel tuo caso è un gruppo eterogeneo. Come fai a toccare dei bisogni trasversali, per esempio di chi convive con una disabilità e di chi invece è molto lontano?

“Come ho detto subito, non mi sono candidato “per i disabili” ma “per tutte e tutti”. Rifiuto da sempre, infatti, l’associazione “disabile = disabilità”, che trovo assolutamente ghettizzante soprattutto per quanto riguarda il lavoro. Mi ritengo un attivista per i diritti umani, sociali e civili, e il mio obiettivo è tutelare le persone e le minoranze tutte, dando voce a chi non viene ascoltato a prescindere da quale sia la sua condizione e la problematica da affrontare.

In questo, la mia community molto varia è un ottimo aiuto perché solleva questioni sempre nuove e le proposte non mancano mai (per fortuna, ma anche purtroppo, perché significa che ancora tante cose devono essere risolte)”.

Hai mai paura di essere ascoltato più per la tua disabilità che per quello che hai da dire? Se oggi non ti capita e, magari prima sì, come hai superato questa difficoltà?

“Devo dire che, proprio per come mi pongo, ho visto un cambiamento sensibile negli anni nel modo in cui, ad esempio, i media mi rappresentano e raccontano ciò che faccio. Sono sempre meno “l’attivista per la disabilità” e sempre più “l’attivista per i diritti”, e questo un po’ mi rassicura. 

Certo, il rischio di essere identificato per la mia carrozzina c’è sempre, ma cerco di dimostrare con i fatti che sono e faccio molto altro, anche se questo comporta tradire le aspettative di chi mi vorrebbe schierato sempre e solo su battaglie riguardanti la disabilità: ma, d’altronde, restano pur sempre aspettative sbagliate che non hanno compreso quale sia il ruolo che voglio avere, che non è quello di “sindacalista dei disabili”, per citare un mio amico”.

Nel video di seguito, girato al Tedx Talks di Empoli, Iacopo Melio ha discusso di come rompere i pregiudizi oltre ogni disabilità.

Persone che hanno raggiunto visibilità e traguardi, nella vita, spesso, raccontano di vivere momenti più o meno prolungati nei quali quella visibilità non la vorrebbero. Si sentono schiacciati o sono vittima di quella che viene chiamata sindrome dell’impostore. Ti capita mai? In generale come vivi il successo e quello che ne deriva e cosa suggerisci per non lasciarsi travolgere?

“Credo che il successo e la fama siano altri. Io, semmai, mi definisco una persona “visibile”: questo spazio sotto i riflettori un po’ è capitato e un po’ me lo sono costruito, perché in fondo ho sempre voluto fare questo di lavoro, perciò ne prendo onori e oneri.

Sicuramente a volte mi manca essere una persona “anonima”, conoscere qualcuno che non sappia niente di me e io di lei o lui, ad esempio, oppure fregarmene di ciò che dico perché consapevole che le mie parole non siano lette da chissà chi e che quindi non avrebbero conseguenze (non che oggi mi censuri, sono anzi trasparente al 100% quando invece per viver bene in questo mondo bisognerebbe stare più zitti, ma di certo cerco di misurarmi per trasmettere sempre messaggi positivi e costruttivi, anche quando sono duro o pungente).

Una vera e propria sindrome dell’ impostore non credo di averla mai avuta, ma crisi d’ansia quante ne vuoi: siamo ormai migliori amici. Staccare la spina, purtroppo, è molto difficile ma a volte necessario, e questo ancora le persone faticano a comprenderlo, pensando che essere persone pubbliche significhi essere sempre reperibili e rispondere a chiunque e subito. Questa mancanza di empatia un po’ dispiace, perché per chiedere comprensione bisognerebbe prima di tutto darne”.

Qual è il sogno nel cassetto mai realizzato?

“L’indipendenza pratica. Poter vivere da solo con un assistente domiciliare. Ad oggi, soprattutto per le mie ultime vicende di salute, lo trovo sempre più difficile, purtroppo. Anche per questo lavoro affinché possano almeno autodeterminarsi gli altri, conoscendone l’importanza”.

Nelle tue foto colpisce spesso il sorriso. Ho in mente una tua foto con il presidente Mattarella che sorride contagiato dal tuo buonumore. Come tieni acceso il sorriso? Soprattutto, se è sempre stato così, come ci riuscivi quando non avevi l’attenzione e l’impatto di adesso?

“Sarebbe bello dire che sia sempre così, ma anche irrealistico. I momenti bassi ci sono eccome, semplicemente cerco di tenerli per me perché sebbene ritenga quello allo sfogo e al lamento, anche al pianto, un diritto a cui dare riconoscimento, credo anche che alla lunga non porti a niente se non ad aggiungere e trasmettere una pesantezza inutile. L’attenzione di adesso non è un aiuto a sorridere di più (non dovrebbe essere la visibilità a rendere felici), semmai un canale di condivisione importante con una grande e bella famiglia costruita in tutti questi anni.

Cerco semplicemente di cogliere il positivo dalle ciò che ho intorno. Un esercizio che dovremmo fare tutti ogni giorno, ad esempio, è quello di appuntarci le piccole cose per le quali abbiamo sorriso. Serve molto a ridare la giusta priorità a quello che viviamo, riscoprendo cosa sia davvero importante e cosa superfluo”.

Iacopo Melio, premiato come "Cavaliere dell'Ordine al Merito" dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella.
Iacopo Melio, premiato come “Cavaliere dell’Ordine al Merito” dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella.

Quanto Claudio e Barbara, i tuoi genitori, sono stati fondamentali nel tuo percorso? Hai dei suggerimenti, nel loro modo di essere, che secondo te possono essere di ispirazione per genitori di figli con disabilità?

“Non sono genitore, perciò mai mi permetterei di dire come si fa.

Posso solo, per esperienza personale, dire che la mia famiglia mi ha sempre lasciato libero e autonomo di scegliere: dall’università al mio lavoro a scelte di altro tipo.

Mi hanno supportato sempre in modo silenzioso e a distanza: pure troppo, per come sono io, ma credo anche a posteriori che una certa “freddezza” nelle dimostrazioni (comunque presenti) sia stata uno stimolo prezioso per spingermi sempre di più, senza mai adagiarmi.

Come dice mia mamma: per ottenere 10 nella vita bisogna richiedere 20, e questo vorrei che valesse per chiunque, senza mai farci degli sconti”.

L’intervista a Iacopo Melio fa parte della sezione “Storie”. All’interno della stessa raccolta, trovi anche:

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