Categorie protette, cosa succede se il lavoratore assunto dopo la revisione non rientra più nella quota obbligatoria? Se cioè le commissioni medico legali abbassano la percentuale di invalidità al di sotto del 46%? (entra nella community di Invalidità e Diritti e scopri le ultime notizie sull’invalidità civile. Unisciti al gruppo Telegram, alla chat tematica e a WhatsApp per ricevere tutte le news direttamente sul cellulare. Entra nel gruppo Facebook per parlare con migliaia di persone che hanno i tuoi stessi interessi).
INDICE
- Categorie protette: cosa succede al lavoratore che sta meglio
- Categorie protette: la prima interpretazione
- Categorie protette: la seconda interpretazione
- Categorie protette: gli obblighi del lavoratore
- Categorie protette: norme regionali
- Categorie protette: ricorso
- Categorie protette: chi ha diritto
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Su questo argomento puoi leggere un post che spiega quali sono i vantaggi per le aziende che assumono lavoratori dalle categorie protette; vi ricordiamo anche l’appuntamento periodico con i concorsi per le categorie protette: quello di dicembre è riservato ai Comuni; analizziamo poi un paradosso del collocamento mirato: per iscriversi è necessario licenziarsi.
La questione dei lavoratori assunti dalle aziende nelle quote “obbligatorie” e poi estromessi dalle categorie protette perché si è abbassata la percentuale di invalidità, non è stata prevista dalla normativa.
Categorie protette: cosa succede al lavoratore che sta meglio
Quando la legge non prevede in modo specifico una procedura si dà il via alle possibili interpretazioni che, come sempre, non portano tutte nella stessa direzione.
Per capirci, prendiamo il caso di un lavoratore inserito nelle categorie protette e assunto in modo obbligatorio da una azienda con un contratto a tempo indeterminato. Dopo qualche mese il dipendente viene sottoposto a visita di revisione. La commissione medico legale riconosce una percentuale di invalidità inferiore al 46%, che è il limite per poter essere iscritto al collocamento mirato ed essere inserito nelle categorie protette.
Ci chiediamo: a questo punto cosa succede? Il lavoratore rientra ancora nelle quote di assunzione obbligatoria previste dalla legge numero 68 del 1999 o ne viene escluso? Cosa deve fare l’azienda? E il lavoratore rischia di essere licenziato?
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Categorie protette: la prima interpretazione
Una prima interpretazione ritiene che il lavoratore con una percentuale di invalidità superiore inferiore al 46% non possa essere licenziato. Ma non solo: dovrebbe continuare a essere conteggiato nella quota di riserva, perché quella che conta è la percentuale che aveva al momento dell’assunzione.
Categorie protette: la seconda interpretazione
Una seconda interpretazione va invece nella direzione opposta. E quindi, se il lavoratore al termine della visita di revisione ha una invalidità inferiore alla soglia minima per essere inserito nelle categorie protette non può essere più ritenuto disabile. In questo caso, però si apre anche la questione relativa all’azienda: bisogna assumere un altro lavoratore per coprire l’obbligo imposto dalla legge?
Categorie protette: gli obblighi del lavoratore
Qualcuno potrebbe dire: ma se il lavoratore non comunica all’impresa l’esito della visita di revisione può evitare il rischio di essere licenziato e di conseguenza anche problemi all’azienda che così non deve assumere un altro dipendente dalle categorie protette?
Sarebbe troppo semplice. Infatti il lavoratore assunto dal collocamento mirato ha l’obbligo di presentare ogni anno all’azienda una dichiarazione di responsabilità che conferma la sussistenza dei requisiti che hanno portato alla sua assunzione. Lo dispone l’articolo 1, comma 257 della legge numero 662 del 23 dicembre 1996
, che dice:
«Entro la stessa data di cui al comma 248, gli invalidi civili, i ciechi ed i sordomuti assunti al lavoro ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482, direttamente per assunzione nominativa o per assunzione numerica tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, sono obbligati a presentare alla prefettura e al loro datore di lavoro una dichiarazione di responsabilità, ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, relativa alla sussistenza dei requisiti per l’assunzione».
«La mancata presentazione della suddetta dichiarazione determina l’immediato accertamento della sussistenza dei citati requisiti da parte della Direzione generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra del Ministero del tesoro. Qualora si accerti l’insussistenza dei requisiti, il rapporto di lavoro è risolto di diritto a decorrere dalla data di accertamento da parte della medesima Direzione».
Se dichiara cosa non vere commette il falso.
Quindi no, non è una soluzione.
Categorie protette: norme regionali
E allora, come se ne esce? Cosa deve fare un lavoratore che si trova in questa condizione? Beh, una via d’uscita potrebbero essere le norme regionali. Ci spieghiamo: la legge 68 del 1999 è stata adottata e regolata dalle singole Regioni. Quindi è opportuno verificare se e cosa è stato previsto per i lavoratori assunti dalle categorie protette che dopo la visita di revisione non rientrano più nei parametri sanitari che consentono l’iscrizione al collocamento mirato.
Categorie protette: ricorso
C’è anche un’altra chance per evitare problemi. Può essere intrapresa soprattutto se si ritiene che il giudizio della commissione medico legale non sia stato coerente con le condizioni di salute del lavoratore con invalidità: il ricorso giudiziale.
Se l’accertamento tecnico preventivo eseguito da un consulente nominato dal giudice valuta la percentuale di invalidità del dipendente “a rischio” superiore al 46% si può andare avanti con la procedura e attivare il ricorso davanti ai magistrati con buone possibilità di vincerlo (se l’accertamento tecnico preventivo è invece in linea con il giudizio della commissione medica, meglio lasciar perdere).

Categorie protette: chi ha diritto
Vi ricordiamo prima di concludere quali sono le categorie che hanno diritto all’iscrizione al collocamento mirato e all’inserimento nelle graduatorie protette:
- le persone tra i 18 e i 67 anni che sono affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e i portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento. Sono da includere anche le persone la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle proprie attitudini (invalidità specifica), sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo;
- agli invalidi del lavoro con un riconoscimento di invalidità Inail superiore al 33%;
- ai non vedenti (con cecità assoluta o con un residuo visivo non superiore a un decimo ad entrambi gli occhi);
- ai sordi (persone colpite da sordità alla nascita o prima dell’apprendimento della lingua parlata);
- agli invalidi di guerra, invalidi civili di guerra, invalidi per servizio.
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