Devo dire al datore di lavoro che sono invalido? Vediamo quanto è opportuno farlo, come funziona e cosa dice la legge. (entra nella community di Invalidità e Diritti e scopri le ultime notizie sull’invalidità civile. Unisciti al gruppo Telegram, alla chat tematica e a WhatsApp per ricevere tutte le news direttamente sul cellulare. Entra nel gruppo Facebook per parlare con migliaia di persone che hanno i tuoi stessi interessi).
INDICE
- Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: riservatezza
- Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: idoneità fisica
- Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: mansioni specifiche
- Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: il doppio verbale
- Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: la diagnosi
- Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: interesse di entrambi
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La questione è delicata e per una discreta serie di motivi. Il lavoratore non dovrebbe essere tenuto a informare il datore di lavoro sul proprio stato di salute e quindi neppure su una eventuale condizione di disabilità o handicap.
Su questo argomento puoi anche leggere un post per verificare se c’è l’esonero notturno per i lavoratori invalidi; se chi ha l’accompagnamento può lavorare; e quali sono le tutele per gli invalidi sul posto di lavoro.
Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: riservatezza
Ci sono normative anche non recenti (come il decreto legislativo numero 196 del 2003) che tutelano il diritto alla riservatezza dei dati personali. Soprattutto di quelli sensibili. E tra i dati sensibili, ovviamente, rientrano quelli che riguardano le condizioni di salute.
Questo diritto è sancito anche dal diritto europeo.
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Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: idoneità fisica
Ma la questione, come accennato, è delicata. E ci spieghiamo.
Se è vero che il lavoratore ha il diritto di non comunicare una sua invalidità (o genericamente le sue condizioni di salute) è anche vero che il datore di lavoro può chiedere che vengano effettuate delle visite sui dipendenti per verificarne l’idoneità fisica (articolo 5 della legge numero 300 del 1970).
Una possibilità che per i titolari di un’azienda è espressamente prevista anche nei contratti di lavoro e dalla legge sul collocamento obbligatorio delle persone con disabilità.
Infatti proprio il collocamento obbligatorio prevede che se le condizioni di lavoro di un dipendente subiscano un aggravamento, il lavoratore può chiedere che venga accertata la sua compatibilità alle mansioni che gli vengono affidate.
Ma non solo, anche il datore di lavoro può chiedere un accertamento analogo, ma per verificare se le condizioni del lavoratore con disabilità possano continuare a consentire il suo utilizzo all’interno dell’azienda.
Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: mansioni specifiche
E quindi, rispetto a questo articolato e in parte contraddittorio quadro normativo, cos’è prevalente, la necessità di tutelare la privacy del lavoratore o le esigenze del datore di lavoro che vuole sapere se, come e fino a che punto può contare sulle capacità del dipendente?
Ci sono altre disposizioni che fanno oscillare la bilancia verso il diritto del datore di lavoro di conoscere le condizioni del lavoratore. Come l’articolo 20 del Testo Unico sulla Sicurezza.
Questa norma prevede che il lavoratore sia tenuto a collaborare alla sicurezza e alla tutela della salute nel luogo di lavoro.
Significa che ha il dovere di fornire informazioni sulle sue condizioni mediche o sull’eventuale invalidità o handicap al medico competente che dovrà formulare il giudizio sulle eventuale idoneità alla specifica mansione.
In pratica è uno scontro tra diritti: quello sulla riservatezza e quello sulla sicurezza nei posti di lavoro. Sono entrambi fondamentali.
Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: il doppio verbale
Il datore di lavoro ha il diritto di conoscere le condizioni di invalidità del suo dipendente quando ha intenzione di inserire nella quota di riserva quei lavoratori che erano già invalidi prima dell’assunzione. O anche di quei dipendenti che sono diventati invalidi dopo che avevano già instaurato il rapporto di lavoro.
E questo è valido anche per le procedure che si sono regolarizzate al di fuori del collocamento obbligatorio.
Una soluzione che ha in parte salvaguardato il diritto alla privacy del dipendente è arrivato con il doppio verbale di invalidità. Ovvero con la copia del documento dove è segnalata solo la riduzione della capacità lavorativa ma non la diagnosi.
Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: la diagnosi
Non sempre però basta il verbale senza la diagnosi (quindi senza accenno alle menomazioni o alle patologie invalidanti). Perché in alcuni casi è proprio la diagnosi che può dare far scattare il diritto per il dipendente ad agevolazioni che sono previste sia nei contratti, sia dalla legge (come l’esenzione dalle visite fiscali o modalità diverse per calcolare il periodo di comporto).
Se non si conosce le diagnosi quelle agevolazioni potrebbero non essere concesse.
In qualche caso il lavoratore ha anche l’obbligo di dichiarare se le sue condizioni sono migliorate. Come per i dipendenti che sono stati assunti dal collocamento mirato: infatti questi lavoratori devono presentare ogni anno una dichiarazione di responsabilità che confermi (o meno) la sussistenza dei requisiti che hanno portato all’assunzione.

Devo dire al datore di lavoro che sono invalido: interesse di entrambi
Insomma, si tratta di un quadro articolato e piuttosto complesso. Dove sono costrette a convivere delle tutele di natura diversa (la privacy e la sicurezza sul lavoro).
Ci sembra chiaro che per i legislatori in determinati casi (non pochi) la tutela della sicurezza sia prevalente sul diritto alla riservatezza. I motivi ci sembrano abbastanza ovvi: spesso è proprio la sicurezza del lavoratore con invalidità o handicap a essere messa a rischio.
E quindi il lavoratore può evitare di comunicare la sua invalidità, in particolare se la riduzione della capacità lavorativa non dà diritto ad agevolazioni e non compromette lo svolgimento delle sue mansioni specifiche.
In caso contrario ci sembra pacifico che l’interesse sia di entrambi, dipendente e datore di lavoro. Soprattutto se il lavoratore può fornire al titolare dell’azienda un certificato dove non sono menzionate le condizioni di salute che hanno portato al riconoscimento di determinate percentuali di invalidità.
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