Come si calcola il periodo di comporto, quell’arco di tempo nel quale il lavoratore non può essere licenziato a causa di assenze causate da una malattia? Si tratta di una questione importante per molti lavoratori, vediamo nel dettaglio come funziona. (entra nella community di Invalidità e Diritti e scopri le ultime notizie sull’invalidità civile. Unisciti al gruppo Telegram, alla chat tematica e a WhatsApp per ricevere tutte le news direttamente sul cellulare. Entra nel gruppo Facebook per parlare con migliaia di persone che hanno i tuoi stessi interessi. Abbiamo anche una pagina Instagram dove pubblichiamo le notizie in formato grafico e un canale YouTube, dove pubblichiamo videoguide e interviste).
Indice
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Cos’è il periodo di comporto?
Il periodo di comporto è un termine fondamentale nel mondo del lavoro. Si tratta di un lasso di tempo durante il quale un dipendente, in assenza per malattia o infortunio, ha diritto a mantenere il suo posto di lavoro. Oltrepassato questo periodo, il datore di lavoro ha la possibilità di licenziare il dipendente.
Vi sono due tipologie di comporto:
- il comporto “secco”, che si riferisce a un’unica e ininterrotta malattia;
- e il comporto per “sommatoria”, quando ai giorni di malattia si alternano giorni lavorati, ma la loro somma può portare al licenziamento.
Comprendere correttamente questi concetti è fondamentale per i lavoratori, dato che determinano il rischio di licenziamento.
Quando il licenziamento è vietato
Durante il periodo di comporto, disciplinato dal codice civile e dai contratti collettivi, il datore di lavoro non può licenziare il proprio dipendente malato. Questa tutela è codificata nell’art. 2110 comma 2 c.c.
In termini pratici, si tratta di un numero di giorni, prefissato dalla legge o dai contratti collettivi, durante il quale il lavoratore è protetto da un eventuale licenziamento.
Quando il licenziamento è ammesso
Sebbene la tutela del comporto protegga il lavoratore durante la malattia, ci sono circostanze in cui il datore di lavoro può procedere al licenziamento del dipendente malato per ragioni diverse dalla malattia.
Ad esempio, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore se questi commette un’azione che compromette irrimediabilmente il rapporto fiduciario (come il furto di merce aziendale o l’abuso dei permessi retribuiti legge 104, a questo proposito vediamo quali sono i controlli previsti e quando sono legittimi), se la malattia del dipendente peggiora rendendolo totalmente incapace di lavorare, o se l’azienda chiude definitivamente.
Inoltre, se il lavoratore supera il numero di giorni di assenza per malattia concessi dalla legge, il datore di lavoro può attivare il licenziamento. Si presume infatti che la prestazione del lavoratore non sia più utile al datore di lavoro.
Quando un invalido può essere licenziato?
Il ogni caso il licenziamento del lavoratore dovrà essere preceduto da una comunicazione di preavviso.
Non c’è obbligo di licenziamento
È importante sottolineare che il licenziamento dovuto al superamento del periodo di comporto non rappresenta un obbligo per il datore di lavoro. Potrebbe infatti decidere di attendere un periodo più ampio, consentendo al dipendente di guarire completamente e ritornare al lavoro.
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Periodo di comporto: criteri generali
In linea generale, il periodo di comporto è determinato dalla legge o dal contratto collettivo applicabile al caso specifico.
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I contratti collettivi più diffusi nel settore della metalmeccanica industria non disciplinano in modo specifico le modalità di calcolo del periodo di comporto, lasciando spazio a possibili interpretazioni.
Comporto e contratti collettivi
Per esempio, né il contratto collettivo nazionale di lavoro del 5 febbraio 2021 per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata ed alla installazione di impianti (siglato tra Federmeccanica, Assistal e Fiom, Fim, Uilm), né il contratto collettivo nazionale di lavoro del 15 luglio 2020 per addetti all’industria metalmeccanica privata e alla installazione impianti (siglato tra Conflavoro PMI e Fesica Confsal) prevedono disposizioni specifiche sul calcolo del periodo di comporto.
Il calcolo del comporto
Nel calcolo del comporto, si deve prestare attenzione: se il licenziamento viene irrogato prima dell’effettivo superamento del periodo di comporto, lo stesso risulterebbe illegittimo. I giorni utili al calcolo del comporto sono quelli attestati dal certificato di malattia.
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Nel calcolo del periodo di comporto, si deve tener conto della presunzione di continuità della malattia, cioè, se tra due periodi di malattia vi sono meno di dieci giorni di lavoro effettivo, si presume che la malattia sia la stessa.
In tal caso, anche i giorni non lavorativi e le festività che cadono nel periodo di certificazione medica devono essere conteggiati, così come i giorni compresi tra l’ultimo giorno del periodo attestato nel certificato medico precedente ed il primo giorno attestato dal certificato medico successivo.
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La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9751/2019 dell’8 aprile 2019, ha chiarito i criteri da utilizzare per il calcolo del superamento del periodo di comporto. In particolare, ha stabilito che si deve fare riferimento al calendario comune.
Nel caso specifico preso in esame dalla Suprema Corte, era in discussione un periodo di comporto fissato a 18 mesi dal contratto collettivo.
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Il dipendente era rimasto assente per un totale di 545 giorni. Utilizzando il calcolo convenzionale che considera ogni mese come un blocco di 30 giorni, si sarebbe superato il periodo di comporto (30 giorni per 18 mesi risultano in 540 giorni totali).
Tuttavia, applicando la regola numeratione dierum, che divide 365 giorni per 12 mesi per ottenere un valore unitario di 30,42 giorni al mese, il periodo di comporto risulta di 547,5 giorni (30,42 giorni per 18 mesi). Questo significa che il superamento del comporto si sarebbe concretizzato solo al 548° giorno di malattia.
Di conseguenza, se il contratto collettivo definisce il periodo di comporto in mesi, è necessario fare riferimento a quanto stabilito dalla Cassazione e procedere con il calcolo dei mesi utilizzando il valore unitario di 30,42 giorni.
Infine, potrebbe essere necessario aggiungere un giorno in più al conteggio finale nel caso in cui il periodo considerato includa un anno bisestile.
Continuità con i periodi di malattia
È opportuno sottolineare che i contenziosi sul calcolo del comporto, sono tutt’altro che infrequente. La questione è stata spesso sottoposta all’esame dei giudici, che hanno avuto l’occasione di fornire approfondimenti e spiegazioni sui punti controversi.
La Suprema Corte di Cassazione ha comunque adottato una posizione chiara. Con la sentenza n. 24.027 del 24 novembre 2016, ha stabilito che esiste una presunzione di continuità della malattia. Questo significa che, nel calcolo del periodo di comporto, devono essere inclusi (lo ribadiamo per maggiore chiarezza):
- I giorni non lavorativi e le eventuali festività che ricadono nel periodo della certificazione medica;
- Nel caso di certificati medici consecutivi, i giorni compresi tra l’ultimo giorno del periodo attestato nel certificato medico precedente e il primo giorno attestato dal certificato medico successivo.
Quindi, secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione, esiste una presunzione di continuità della malattia e, nel calcolo del periodo di comporto, devono essere inclusi tutti i giorni tra un certificato medico e il successivo.
Questa presunzione di continuità della malattia può essere contraddetta solo dalla dimostrazione che il lavoratore ha effettivamente ripreso l’attività lavorativa.
Di conseguenza, i soli giorni che il lavoratore può richiedere di non essere conteggiati nel periodo di comporto sono quelli successivi al suo ritorno al lavoro. Questo è stato confermato anche dalla stessa Corte di Cassazione in precedenti sentenze (n. 21.385 del 10 novembre 2004 e n. 29.317 del 29 dicembre 2008).
Interruzione del periodo di comporto
Il periodo di comporto può essere interrotto dalla presenza in servizio del lavoratore, anche solo per un giorno. Dopo tale interruzione, il calcolo del comporto ripartirà da zero.
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Nel caso in cui il lavoratore persista nell’essere assente dal lavoro, la computazione del periodo di comporto non viene interrotta. Pertanto, tutti i giorni intercorsi tra una certificazione medica e la successiva devono essere inclusi in esso.

Faq (domande e risposte)
Quanto dura il comporto?
La durata del comporto è variabile e viene stabilita dalla legge o, in mancanza, dal contratto collettivo applicabile al caso specifico. Alcuni contratti collettivi prevedono una durata di 18 mesi, ma può variare a seconda del settore e del contratto specifico.
Quali sono le assenze che non rientrano nel periodo di comporto?
Il comporto si applica solamente alle assenze causate da malattia o infortunio. Le assenze non legate a queste cause (ad esempio assenze ingiustificate, permessi, ecc.) non rientrano nel periodo di comporto.
Che succede se si superano i 180 giorni di malattia?
Se il lavoratore supera il numero di giorni di assenza per malattia concessi dalla legge, l’azienda potrebbe procedere al suo licenziamento. Questo perché si presume che la prestazione del lavoratore non sia più utile al datore di lavoro. Tuttavia, il licenziamento non è un obbligo per il datore di lavoro, che può decidere di attendere un periodo di tempo più ampio per consentire al dipendente la completa guarigione ed il ritorno in servizio.
Quanti giorni di malattia si possono fare in tre anni?
Il numero di giorni di malattia che un lavoratore può fare in tre anni dipende dal comporto stabilito dalla legge o dal contratto collettivo applicato. Non è specificato un limite generale, poiché varia a seconda dei contratti e dei casi.
Cosa interrompe il periodo di comporto?
Il periodo di comporto può essere interrotto dalla ripresa dell’attività lavorativa da parte del dipendente. Solo in questo caso verrebbe a cadere la presunzione di continuità della malattia e si dovrebbe interrompere il calcolo del periodo di comporto.
Che tipo di licenziamento è quello per il superamento del comporto?
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto è motivato dalla necessità del datore di lavoro di avere una prestazione lavorativa che, a causa della lunga assenza per malattia del dipendente, non viene fornita. Ricordiamo però che il licenziamento non è obbligatorio e il datore di lavoro può decidere di attendere la completa guarigione del dipendente.
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